Da quando vivo a Roma (da qualche giorno prima, a voler essere precisi) tengo un diario personale in cui riporto un po’ di tutto.
Il format è sempre lo stesso. Per cominciare, numero della pagina in alto a sinistra. Subito sotto la data. A destra, invece, una parola significativa per quel momento. Dopo aver concluso, in fondo, il titolo della canzone che sto ascoltando oppure il rumore che sento in sottofondo in quel momento.
Una domenica al Colosseo, con mio fratello (che fa la foto).
A volte è un resoconto della giornata, altre volte è qualcosa che mi ha segnato talmente tanto da volerla imprimere sulla carta per paura di scordarlo. Altre volte ancora una citazione, una foto, una poesia o un’idea. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, tale è la varietà delle cose che ci butto dentro.
Il punto però è un altro: sto per raggiungere la pagina quattrocento. La prima è del 30 Agosto 2013. L’ultima, al momento, è del 9 Febbraio 2018.
“Ammazza bravo, sai scrivere. Vuoi un applauso?”
No, aspetta, fammi arrivare al nocciolo della questione.
Qualche anno fa avevo un blog: francescomalatesta.net (non esiste più, al suo posto c’è un blog in francese vagamente ambiguo). È stato il mio punto d’inizio: ricordo di aver cominciato a scrivere di giochi flash e di come svilupparne traducendo una guida di un certo Michael James Williams. Grazie ad un’altra esperienza passata come news editor su un altro sito, DPCGamers.com (neanche questo esiste più, lacrimuccia), una cosa tira l’altra e mi ritrovo a scrivere per HTML.IT. Poi la community di Laravel-Italia, poi Sitepoint e così via.
Esperienze stupende, ora concluse. Dopo tutto questo ho sentito il bisogno di tornare ad un blog personale.
“Perché mai tornare ad un blog? Non capisco.”
Non credo di essere un grande scrittore. Ho però imparato una cosa molto importante sulla scrittura che ultimamente mi ha fatto riflettere.
Scrivere bene, per “lasciare” qualcosa, è molto difficile.
Sembra ovvio ma mi spiego meglio. Chi lavora (o è appassionato, come me) di quella strana intersezione tra la scrittura di frasi comprensibili dagli umani e frasi comprensibili dai computer, lo sa: a volte si entra nella routine senza nemmeno accorgersene. Per routine intendo il classico “devo pubblicare qualcosa questa settimana” o, ancora peggio, “devo pensare a qualcosa da pubblicare per lunedì”.
Cosa succede?
- perdiamo il gusto di scrivere, di “giocare per amore del gioco”;
- i contenuti perdono di qualità. Il vocabolario si appiattisce, la ricerca delle parole giuste finisce troppo presto e senza troppe sorprese;
Ho deciso, così, di aprire un blog personale con lo stesso identico spirito con il quale ho iniziato a scrivere sul diario.
Seguirò due semplici regole:
- nessun tema in particolare. Certo, parlerò di sviluppo ma non esclusivamente. Scriverò di quello che vorrò, ad una condizione: che abbia effettivamente qualcosa da dire;
- nessuna fretta. Non avrò più una redazione, non avrò più una community che aspetta il prossimo articolo. Nulla. Avrò, finalmente, il lusso di potermi scegliere le parole che preferisco con tutta la calma del mondo;
Ecco spiegato il perché di quel “my horizontal adventures”: almeno qui, stop alla specializzazione, verticalizzazione o come si vuole chiamarla. Magari funzionerà, magari no. Speriamo. Se non altro ho un precedente: quasi quattrocento pagine di diario che porto avanti da quasi cinque anni.
Può funzionare.